giovedì 14 luglio 2016

Luglio, col bene che ti voglio ...


Sbarro gli occhi nella luce del mattino fatto mentre un brivido di terrore mi si annoda nello stomaco.
Incespico verso l'orologio della cucina che impietoso con due occhietti ( 8 ) sta alzando un braccio per ammonirmi.
Non possedendo la miracolosa dote dell'ubiquità né, men che meno, del teletrasporto non mi resta che ... CORREREE !!!
E insomma ogni tanto capita pure di litigare con la sveglia, solo che sta volta più di tutti gli altri giorni ...
Credo si possa semplicemente chiamare "voglia" di ferie.
Ma per un venerdì cominciato male e finito quasi peggio, l'unica buona idea era di farsi rapire per un fine settimana (quasi) romantico ...


Resistendo al rischio imminente di scioglierci, nel rovente pomeriggio riusciamo a caricare l'auto e partire per la nostra piccola fuga. Già ad Agordo, nell'inconsueta luce meridiana, si comincia a respirare.
La nostra destinazione è Passo San Pellegrino per una notte di avvicinamento in "rifugio".
Infatti la meta domenicale sarebbe ambiziosa ma con poco tempo a disposizione: praticamente una gara contro il solito meteo malevolo e gli impegni familiari a valle.

Appena sistemati nel nostro ameno alberghetto, subito ristorati dall'aria fresca, facciamo una passeggiata in attesa della cena. 
L'idea è di dare un'occhiata all'attacco del sentiero per la mattina dopo, ma io, rapita da conformazioni geologiche e specie floristiche, non faccio che distrarmi ogni pochi metri ...


 
  

Orobanche parassita

 

 
   

 

Scrophularia canina L.
 
l'Om
Agneeer
 

Marmoi
  

Dopo cena, ben sazi, approfittiamo delle ultime luci per risalire un po' lungo il pendio dietro al "rifugio" per un sentiero che conoscevamo già, salvo non immaginare che senza la neve potesse essere così ricco di fiori da restare entrambi incantati ... il nome Flora Alpina è decisamente azzeccato!
Ma questo è ancora nulla a confronto di quando, ignari, ci voltiamo verso valle e restiamo letteralmente a bocca aperta davanti al tramonto sul Focobon!

 
   
  
 

 

... déjà-vu ...
 

Dopo un simile spettacolo non ci resta che andare a dormire e continuare a sognare ...


Domenica mattina - non una nuvola in cielo! - tempo di fare un'abbondante colazione e ci spostiamo direttamente in auto all'inizio del strada di salita in modo da risparmiarci un po' di asfalto al rientro.
Nemmeno il tempo di infilare gli scarponi che - guarda chi c'è qua! - incontriamo degli zii camminatori arzilli, oltre che mattinieri, che ne approfittano per farsi dare qualche consiglio in più sui sentieri.
E poi via, ognuno per la sua meta ...

Salendo al Rifugio Fuciade ci godiamo il cielo azzurro ed il verde intenso dei prati: nonostante le previsioni la giornata sembra promettere bene ...
Dal rifugio ci precedono sul sentiero un padre con due ragazzini, tutti e tre carichi con zaini bardati da stuoie, e, subito a ruota dopo il nostro passaggio, un gruppo di altri quattro escursionisti.
A parte qualche altro incontro fugace, saranno i nostri unici "compagni" per quasi tutta la salita.
La colazione ancora sullo stomaco e il caldo si fanno sentire, così dopo un po' faccio passare i quattro, poi, superato il primo scalino la temperatura si fa più gradevole e, grazie anche ad un tratto di stradina militare in (quasi) piano, riesco a riprendere il fiato prima che il sentiero riprenda a "tirare" a tornanti regolari su per i ghiaioni.




... un vecchio amico solitario ...


 
Torre Enrica e Palon de Jigolé

 
 

All'imbocco della Valle di Tasca ci prepariamo a superare un secondo scalino ed entrare nel vallone pensile di origine glaciale che scende direttamente dal Passo delle Cirelle.
Le alte pareti, complice l'aria umida e la nuvolaglia che man mano ci segue da valle, danno un certo senso di oppressione.
Lungo il ripido ghiaione, soprattutto verso il fondo, dove la valle ha una pendenza minore, sono evidenti parecchi resti della Grande Guerra: ferraglia di vario genere (filo spinato, lattine e bossoli), legname (assi, pali e travi), una mezza suola, qualche pezzo di latterizo (delle stufe) e molte ossa. Umane ...
A quanto pare queste postazioni (italiane) sono state lasciate (se qualcuno vi era ancora che potesse farlo) in fretta e senza più tornare, nemmeno per dare sepoltura a chi era rimasto a terra.
Senza sapere i fatti storici della zona, sembrerebbero le conseguenze del rapido abbandono di questo tratto di fronte, oppure al seguito della caduta di una slavina.
Tant'è. Ormai i resti raminghi dei ragazzi di quel tempo sono affidati alla pietà degli escursionisti di oggi.
E con questi pensieri il procedere si fa ancora più greve.



 




Risaliti gli ultimi tornanti e raggiunto finalmente il Passo, la vista può tornare a spaziare ampia verso le alte vette: Marmolada, Ombretta e, giusto al centro, quella che doveva essere la nostra meta: il Sasso Vernale.
Ad aver tempo sarebbe ancora tranquillamente raggiungibile ma, per il tempo che abbiamo a disposizione, ci appare subito troppo distante. Tanto più che, mentre verso nord-ovest  (ad esempio sul Sella, dove sono i nostri amici del Gruppo) ci sono ancora ampie porzioni di cielo azzurro, alle nostre spalle ormai non possiamo più fare a meno la coltre di nubi sempre più spessa e grigia ...




Per stavolta il Vernale restà lì dov'é, ma almeno ad una cimetta vicina veloce non vogliamo proprio rinunciare ...
Così scegliamo la prima a portata di scarpone che ancora appare abbastanza libera dalle nuvole: il Palon de Jigolé che dà il nome al rio che scende fino quasi al Passo di San Pellegrino, una cresta ghiaiosa appuntita che si protende come una prua sul vallone sottostante.

 
 

 
  


Ridiscesi al Passo proseguiamo verso valle senza fretta, godendoci quanto di bello la Natura (e non solo) ci offre lungo il percorso.

 
 


 
  




 


 
Arrivati al Fuciade ormai il cielo promette pioggia a breve, ma gli scarponi mi stanno torturando da un po' e supplico una sosta nel rifugio gremito di turisti. Magari pure con una dissetante radler ...
E sul più bello che poggiamo le labbra al bicchiere cominciano a cadere le prime pesanti gocce d'acqua, mentre da valle sentiamo risalire l'eco dei tuoni sempre più vicini.
Non ci resta che finire in fretta e furia la nostra bibita e armarci di ombrello, sperando di raggiungere l'auto senza bagnarci troppo.
Alla fine sarà solo un breve temporale di passaggio e nel tempo che impieghiamo a cambiarci, fa a tempo a ritornare il sole. Almeno per un po' ...





Non esattamente una toccata e fuga, ma quando a valle c'è un vispo trenne che aspetta i suoi regali, non si può certo mancare all'appuntamento!   :-)


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