Un paio di mesi fa - era il 17 gennaio - ricordo di aver pensato "la prossima volta mi fermo a salutarlo con calma" ...
Era
una serata in cui Marco aveva preso una sala gremita di
appassionati di montagna e - sull'onda di una passione grande come la
vita - li aveva trasportati con incredibile entusiasmo su e giù per le
montagne, in avventure al limite del possibile.
Con
semplicità chiara e luminosa come i suoi occhi, Marco aveva raccontato
la sua voglia di vivere la montagna e soprattutto di viverla a
modo suo, ascoltandosi e "sentendo" il momento giusto per affrontare le
sue avventure, senza forzature, senza l'ostinazione di vincere una sfida
a tutti i costi, ma comunque con la tenacia di non arrendersi
nonostante le difficoltà e le rinunce, nonostate gli incidenti, nonostante la vita.
Marco era un sognatore, e lo si
capiva subito a pelle. Bastava una sua stretta di mano - forte - e un suo sguardo sorridente per sentirlo già amico.
Era
successo così quest'estate, a casa sua sulle Grigne, quando c'eravamo
fermati a chiacchierare assieme ai Piani Resinelli, di montagna ma non
solo, come se ci si conoscesse da parecchio, anche con chi ci si era
appena presentati. E poi la mattina dopo, mentre lui faceva un veloce
giretto mattutino, e ci si era gridati dei saluti mentre lui correva giù
per le guglie come un animale selvatico.
Confesso che, prima di incontrarlo
di persona, per me Marco Anghilleri era solo un nome, famoso, ma
dai lineamenti vaghi.
Invece,
a gennaio dopo la serata, quasi mi sono sentita in colpa ad andarmene
dalla sala strapiena senza fermarmi a salutarlo, come se, tra tutte le
persone che si accalcavano attorno a lui, si fosse potuto accorgere
della mia assenza. Ma ho pensato che
una in più, di cui chissà se aveva il ricordo, non avrebbe fatto altro
che obbligarlo a restare in quella calca ancor di più, così ho preferito
lanciare un saluto nella sua direzione ed andarmene.
Tanto - pensavo - di occasioni per parlare con più calma ce ne sarebbero state ancora ...
E invece no. Marco è stato recuperato oggi sul Monte Bianco.
Dall'inizio della settimana scorsa stava tentando in solitaria la prima salita invernale della via Jori
Bardill sul pilone centrale del Freney, ma le sue tracce si erano perse già venerdì.
Poi solo attesa, dubbi, paure, finché sabato sono iniziate le
ricerche e ieri è stato individuato il suo corpo.
Lì per lì pensavo di aver letto male
la notizia. Ho dovuto rileggere tre volte l'articolo ed andare in cerca nel web di
varie conferme, prima di volerci credere.
Volevo dire "no, non è possibile, io lo conosco, non può essergli successo niente" ... E invece no.
Alle volte ci penso.
Penso a come sarebbe se succedesse a me o ai miei amici o alla persona che amo.
Il rischio oggettivo in montagna c'è
sempre, e lo si accetta, fa parte del gioco, e a volte lo dico "se muoio
adesso va bene, ma lasciatemi qui" ...
Forse,
come in questo caso, sapere di essersene andati facendo qualcosa che
piaceva, qualcosa che faceva sentir vivi, per me può essere una
consolazione. Ma forse, a pensarla così, è più facile andarsene che restare ...